Se nei giorni scorsi vi ho raccontato di Demetra e dei miti greci ad essa legati, oggi torniamo invece dal nostro lato del Mediterraneo per riscoprire la sua corrispettiva e forse più antica gemella italica, Cerere. Figlia di Saturno e di Opi o Cibele, sorella di Vesta, Giunone, Plutone, Nettuno e Giove, proprio come nella mitologia greca Cerere era madre di Proserpina, avuta dall’unione con Giove.

Dobbiamo sapere però che la latina Ceres, connessa al Dio Cerus, era adorata dai popoli italici preromani ben prima che l’olimpica Demetra giungesse nella nostra cultura e a spiegarcelo è Cicerone nel Pro Balbo. Nel 133 a.C. un oracolo ordinava ai Romani di placare “l’antichissima Cerere” con riti e sacrifici affinché ella mettesse fine alle carestie. 

Dea dell’agricoltura, da Cerere ha origine il nome “cereali” che erano tra i maggiori doni che ella dispensò agli uomini per fronteggiare le carestie nella vita terrena o nell’Oltretomba.
Il culto romano di Cerere  è associato anche a Tellus Mater, la Dea Tellure, ovvero la Terra, invocata dai nostri avi in occasione di terremoti e smottamenti del terreno e dalla quale ancora oggi deriva il termine “tellurico”. Di derivazione indoeuropea, più anticamente era chiamata Ker, colei che porta in sé la crescita, mutata poi in Kerri, Kerres o Kerria nella cultura degli italici popoli osco-sabelli.
A Kerres i Sanniti dedicarono l’area sacra di Bovianum Vetus di Pietrabbondante e, sempre in Molise, venne rinvenuta ad Agnone la Tabula Agnonensis detta anche Tavola Osca o Tavola degli Dei. Una lastra bronzea del II secolo a.C. nell’italica lingua osca, scoperta da un contadino nel 1848 e oggi conservata, purtroppo, al British Museum. Nel testo questo reperto descrive un sacro recinto dedicato a Cerere e la calendarizzazione delle festività ad essa dedicate come i primaverili Floralia, celebrati all’altare del fuoco sul quale avvenivano sacrifici per quattro diverse divinità.
Tra i templi dedicati a Cerere in Italia, i più importanti sono sicuramente il santuario di Lavinio ove vi sono ben tredici altari, il tempio di Terraseo in Sardegna, il bassorilievo di San Gregorio Armeno in Campania e in Sicilia a Selinunte e Agrigento, quest’ultimo probabilmente antecedente allo sbarco dei Greci sull’isola e che anziché essere rivolto all’alba è orientato verso il tramonto della luna piena del solstizio d’inverno. A Roma, sull’Aventino, colle sacro alla plebe, a Cerere venne consacrato un importante tempio da Aulo Postumio nel V secolo a.C. che però andò incendiato nella battaglia di Azio del 31 a.C. per essere consacrato nel 17 d.C. da Tiberio. Cerere era divinità sacra ai Patrizi quanto ancor più alla plebe, tanto che i beni confiscati a chi commetteva reato contro i tribuni venivano venduti destinandone il ricavato al tempio.
Cerere era la nume tutelare della Terra, proteggendone i raccolti, ma anche della fertilità e delle nascite, non solo in campo agricolo, ma demografico per piante, animali e uomini. In un più alto principio di sacralità della vita, Cerere donava al mondo frutti e fiori, piante e pesci, agnelli e bambini; insegnando agli uomini a lavorare i campi e mostrando ad essi le antiche virtù femminili dal portamento composto alle abilità nel filare e nel tessere. Una Dea bellissima e gentile ma al contempo matrona severa nel ricoprire il suo ruolo divino. Nelle raffigurazioni romane Cerere indossava una corona di spighe e reggeva la fiaccola della sapienza con una mano mentre con l’altra teneva un canestro di grano e frutta.
Come scrivevo qualche riga più su, Cerere viene associata alla Dea Tellus. Tre giorni dopo le Idi infatti, il 15 aprile, nelle antichissime festività romane dette Fordicidia si celebrava la Dea in un rito propiziatorio di fecondità in uso anche da altre civiltà indoeuropee. In queste feste sacre anche chiamate Forcanalia, Hordicida, Horcanalia, si sacrificavano vacche gravide, fordae boves, nelle curie come sul Campidoglio dove, una parte di queste veniva dedicata dai pontefici al sommo Giove. Pars cadit arce Iovis. I vitelli estratti dalla Virgo Vestalis Maxima, ovvero il ventre delle mucche anche chiamato Vestale Massima, venivano bruciati e le loro ceneri usate dalle vestali dopo il Natale di Roma, 21 aprile, per purificare il popolo durante i Parilia, festività decretate da Numa Pompilio. Immediatamente dopo i Forcanalia ispirati a Tellus si festeggiavano i Cerialia, interamente dedicati a Cerere. Collegate dall’agricoltura e dall’allevamento, queste feste rientravano in un ciclo più grande devoto alle Frugum Matres, le madri delle messi. Ma vi è anche un’altra antica festa legata a Tellus e Cerere: le Feriae Sementivae. Celebrate a gennaio nel termine della semina, a Tellus Roma offriva una scrofa gravida, la porca precidanea, e a Cerere spighe di spelta.
“…la prima a dissodar la glebe
Coll’aratro insegnò; prima le biade
I più soavi nutrimenti diede;
A noi prima die’ leggi; ed ogni cosa
Riconosciamo da lei.
(Ovidio, Metamorfosi)
Se per i Greci le tre giovani divinità Horai dettavano il ciclo delle stagioni (all’epoca tre sole stagioni), lo stesso avvenne a Roma. Nelle Metamorfosi Ovidio narra: “…la novella Primavera cinta da una corona di fiori e la nuda Estate portando serti di spighe e l’Autunno imbrattato dell’uva pigiata e il gelido Inverno, irti i suoi bianchi capelli…”. Cerere venne quindi scelta quale personificazione dell’estate che porta ricchezza e abbondanza dalla terra. Sempre grazie a Ovidio scopriamo che anche per nell’Urbe, così come per la greca Demetra, Cerere era patrona del vivere civile per aver insegnato l’arte di governare la terra agli uomini, elevando gli stessi dal nomadismo primitivo ad una vera e propria civiltà scandita dalle leggi e dal lavorare la propria terra in un’organizzazione comunitaria che si sarebbe poi chiamata Patria. La ricchezza maggiore di ogni popolo.
“O Regina del cielo, tu feconda Cerere, prima creatrice delle messi, che, nella gioia di aver ritrovato tua figlia, eliminasti l’antica usanza di nutrirsi di ghiande come le fiere, rivelando agli uomini un cibo più mite, ora dimori nella terra di Eleusi;
Tu Venere celeste, che agli inizi del mondo congiungesti la diversità dei sessi facendo sorgere l’Amore e propagando l’eterna progenie del genere umano, ora sei onorata nel tempio di Pafo che il mare circonda; 
Tu (Diana) sorella di Febo, che, alleviando con le tue cure il parto alle donne incinte, hai fatto nascere tanti popoli, ora sei venerata nel tempio illustre di Efeso; 
Tu Proserpina, che la notte con le tue urla spaventose e con il tuo triforme aspetto freni l’impeto degli spettri e sbarri le porte del mondo sotterraneo, errando qua e là per le selve, accogli propiziale varie cerimonie di culto;
Tu Luna che con la tua femminile luce rischiari ovunque le mura delle città e col tuo rugiadoso splendore alinenti la rigogliosa semente e con le tue solitarie peregrinazioni spandi il tuo incerto chiarore;
Con qualsiasi nome, con qualsiasi rito, sotto qualunque aspetto è lecito invocarti: concedimi il tuo aiuto nell’ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna, e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo”.
(Apuleio, Metamorfosi XI.2.)
Andrea Bonazza 

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